Le teofanie bibliche: dai fenomeni naturali eclatanti... ad "una voce di sottile silenzio"

Rivisitando il concetto di “Sacro” nella tradizione biblica, abbiamo visto che le pagine dell'Antico Testamento parlano di Jahvè come del Dio trascendente che, in quanto tale, è separato dal mondo.
Per esempio, Isaia lo definisce come il Dio “nascosto”... cioè misterioso e irriducibile a schemi e progetti umani (Cfr. Is 45,15).
Però, anziché rimanere isolato nella sua trascendenza Jahvè si fa vicino all'essere umano e Gli manifesta la sua presenza in diversi modi, variamente raccontati nella Bibbia ebraica.
Un particolare tipo di manifestazioni è costituito da alcuni celebri avvenimenti definiti nel linguaggio teologico “teofanie” [(dal greco Theos ("Dio") e phàinein ("manifestarsi")], a designare quelle particolari manifestazioni divine che gli autori biblici abitualmente descrivono inserendole in una “cornice” di fenomeni naturali caratteristici.
Basti pensare, per esempio, alla celebre teofania nella quale Jahvé si manifesta nel fuoco del roveto che arde senza consumarsi. (Es 3,1ss), per conferire a Mosè la missione di liberare il suo popolo... mentre molti altri episodi teofanici sono descritti dagli autori biblici all'interno di un “apparato” di fenomeni esterni tali da incutere timore: uragani, lampi, vento, suono di trombe, terremoto, ecc... L'effetto di queste descrizioni è, da un lato, quello di far risaltare in forma più solenne la trascendenza inaccessibile e la maestà di Jahvè... e dall'altro quello di  mostrare la sua vicinanza, sovente espressa mediante la sua Parola rivelatrice.

In ogni caso, per quanto si manifesti attraverso segni che possono essere anche eclatanti, Jahvè mantiene sempre la sua presenza avvolta nel mistero:,
Emblematico, in questo senso, è il celebre passo nel quale il profeta Elia incontra il Signore, che non è nel “vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce”... e neanche “nel terremoto”... e neppure “nel fuoco”...
La “presenza del Signore” si manifesta al profeta nel sussurro di “una brezza leggera” (1 Re 19,11-13), ovvero in una forma “velata” che il testo ebraico esprime con le parole "Qôl demamah daqqah" le quali, più ancora di "brezza leggera"*, hanno in realtà il significato di “voce di sottile silenzio”.
Proprio l'apparente contraddittorietà di questa espressione... “voce silenziosa” ... è volta a sottolineare come Jahvè si manifesti restando comunque trascendente e, in quanto tale, invisibile, irraggiungibile, ineffabile... sfuggente a qualsiasi umano tentativo di ridurLo a suoni, figure, definizioni.
Proprio questa è infatti una delle fondamentali caratteristiche di Dio così come ci viene presentato nelle pagine dell'Antico Testamento:
Jahvè resta sempre "incontaminato" nella sua trascendenza, eppure Egli è anche efficacemente presente nello svolgersi delle vicende umane.

* La traduzione “brezza leggera”compare nell'antica versione greca dei Settanta, ripresa poi da gran parte delle moderne edizioni bibliche.



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