Il concetto di « Provvidenza » nell'Antico Testamento

Come abbiamo già ricordato nella precedente tappa (Il Sacro nella tradizione biblica)... il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe trascende il “creato” da Lui manifestato.
Considerando come la radice verbale qdsh significhi innanzitutto “separare”, questa trascendenza di Jahvè è già indicata dal termine ebraico qadôsh (santo) a Lui attribuito (Cfr. Is 6,3)... oltre che essere riscontrabile anche nelle espressioni utilizzate dagli autori biblici in numerosi altri passaggi dell'Antico Testamento, tra i quali possiamo per esempio ricordare: “Egli, il Grande, è al di sopra di tutte le sue opere” (Sir 43,28), “Chi è come te, maestoso in santità?” (Es 15,11), “Non esiste nessuno pari al Signore, nostro Dio” (Es 8,6).
Pur se Jahvè trascende questo nostro mondo, Lui non rimane però isolato nella sua “alterità” ma, nel corso della storia della salvezza, Egli interviene in favore del suo popolo... soccorrendo coloro che restano fedeli all'Alleanza da Lui stipulata con Abramo.
Anche se in ebraico non c'è una parola che corrisponda esattamente al termine “provvidenza” (dal lat. providentia, corrispondente al greco prònoia)... la Bibbia ebraica è ricca di passaggi che parlano dei vari aspetti della sollecitudine di Dio, che veglia sull'essere umano e lo protegge... realizzando i suoi piani secondo fini che si sviluppano in modo metarazionale, ovvero andando oltre ciò che è sondabile dalla ragione umana.
Questi divini piani "provvidenziali" possono pertanto restare umanamente incomprensibili ma... nella prospettiva della fede... essi non sono meramente irrazionali, perché la superiore Sapienza di Dio li governa in un modo in sé coerente, pur se inconoscibile dalla limitata intelligenza umana.
Nell’Ebraismo il termine ‘esah individua, in generale, questo trascendente “disegno di Dio” inteso come piano provvidente sul creato e sulla storia umana nonché, scendendo nel particolare, come disegno divino riferito alla singola persona.

Nella tradizione biblica, Jahvè è dunque Colui che veglia sugli esseri viventi... non solo sugli uomini ai quali “dà il cibo a tempo opportuno” (Sal 145,15ss) ma anche sugli animali, “provvedendo il cibo al bestiame, ai piccoli del corvo che gridano” (Sal 147,9; Gb 38,41; Cfr. Mt 6,26).
Nello specifico caso degli esseri umani, la benevolente sollecitudine di Dio non esime peraltro il credente dal farsi collaboratore del piano divino, com'è il caso di coloro che “rispondono” mediante la fiducia in Dio, e poi anche mediante un’operosità che dia espressione ai talenti che il Signore ha posto in loro.
Credere nella Provvidenza divina non significa infatti scivolare in quella sorta di fatalismo che è di fatto interpretato da quanti aspettano passivamente il dono provvidente di Dio... ma significa invece vivere in modo attivo la proprio fede, nella convinzione che “il governo del mondo è nelle mani del Signore” (Sir 10,4).
Nella concezione veterotestamentaria, la Provvidenza divina implica pertanto la costante fedeltà del credente, la cui libertà rimane sempre sovrana... per affrontare le prove della vita nel modo giusto o anche, purtroppo per lui, nel modo sbagliato... autoescludendosi in quest'ultimo caso dall'aiuto provvidenziale di Dio.
Tale aiuto raggiunge invece coloro che... collaborando con Dio attraverso un'esistenza sostenuta dalla fede in Lui e improntata alla rettitudine concretamente vissuta ... dimostrano di aver per esempio raccolto l'invito orante del salmista: “Affida al Signore la tua via, confida in lui ed egli agirà” (Sal 37,5).


P.S. -  Su questo argomento, puoi vedere anche il post “Abbandonarsi... senza adagiarsi” nel mio blog “Diario di un monaco, discepolo di Swami Roberto”



Segue: La "provvidenziale" vicenda di Giuseppe: Dio può trasformare il male... facendolo servire al bene

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